Confraternita SS. Sacramento

Della più antica confraternita esistono pochi documenti d’archivio; una esiguità da annoverare certamente ai comportamenti soggettivi dei responsabili che non hanno ritenuto necessario conservare documenti ormai inservibili, alla luce di nuove norme, ecclesiastiche o laiche. Così sono state scartate le regole primitive firmate dal Vescovo, quando, dopo il 1741 è stata necessaria la firma del Re, queste ultime a loro volta sono state sostituite dal Reale Beneplacito richiesto dopo il concordato del 1818-20 e così di seguito fino alle recenti sostituzioni di documentazione, richieste dal recente Concordato del 1985. La nostra è una delle prime confraternite in Puglia, dedicate al culto di Dio, nel secolo XVI, e sicuramente la prima Confraternita a Castellaneta. La scarsità di documenti antichi è un motivo ricorrente per quasi tutti i sodalizi e poche confraternite conservano la pergamena di fondazione. Nemmeno la nostra che, invece, conserva una pergamena di qualche decennio successiva alla sua fondazione, riguardante le indulgenze. Conservata presso l’Oratorio, misura 39x56 ed è in discreto stato di conservazione, anche per un recente restauro operato dalla Soprintendenza di Bari, riportando tuttavia antiche lacerazioni soprattutto ai bordi e lungo le piegature. Molte miniature fatte a mano incorniciano il testo: al centro in alto un ovale con il calice e l’ostia santa, ai lati due medaglioni rappresentanti un Santo in saio (in alto a sinistra) e San Nicola (acefalo, in alto a destra). Sulla fascia decorata a sinistra è riconoscibile lo stemma papale di Gregorio XIII. Il testo riguarda la particolare attenzione del Papa Gregorio XIII alla concessione delle indulgenze a quelli che curano “che il corpo di Cristo con massimo onore si custodisca nelle chiese, si porti nelle processioni, si rechi agli infermi e con reverenza si ricevi dai fedeli e si frequenti; per un servizio più fervente delle cose già predette spesso li invitiamo con le indulgenze, cioè, e con la remissione dei peccati (…) affinchè ciò che non possono con le proprie forze, lo raggiungano più facilmente con questi esercizi. A far la qual cosa anche noi stessi ci sentiamo incitati, mentre riconosciamo che mosso da questa stessa ragione, il nostro predecessore Urbano IV di f.m., stabilì in perpetuo la festa del SS. Corpo di Cristo ed invitò gli stessi fedeli a celebrarla concedendo delle indulgenze”. La bolla ha valore, in perpetuo, anche per tutte le confraternite erette o da erigersi fuori di Roma. Per quanto riguarda i nostri confratelli l’indulgenza plenaria è prevista per chi visita, nella festa del Corpo di Cristo o nella sua ottava, un altare con il Sacramento, recitando sette Pater e Ave e “pregando per la esaltazione della fede cattolica, l’estirpazione delle eresie e degli infedeli”.

Indulgenze periodicamente limitate, ma espresse, in altre occasioni come tutti i venerdì, oppure la terza domenica del mese, il Giovedì Santo, per l’accompagnamento del SS.mo Sacramento agli ammalati, e per la partecipazione alla processione. “Data a Roma, dalla chiesa di Santa Maria sopra Minerva, nella nostra Congregazione, l’anno della nascita di N.S.G.C. 1577, Indizione V, 16 aprile anno V del Pontificato del nostro S. Padre in Cristo e Signore Gregorio Xiii per Divina Provvidenza Papa”. Pur non essendo la Bolla di fondazione, questo documento è testimonianza indispensabile per ricostruire la storia della pietà confraternale della Diocesi, nella prima metà del secolo XVI, cioè prima che le visite pastorali, rese obbligatorie dalla normativa conciliare, iniziassero a fornire le prime sporadiche notizie. La fondazione della Confraternita “sotto il titolo del Corpo di Christo” è dunque anteriore alla bolla papale e fu voluta dal Vescovo di Castellaneta Bartolomeo Abramo Sirigo senior “sotto la data delli 26 ottobre 1538 nel qual tempo risiedeva in Roma per esser lui prelato domestico di Papa Paulo III, siccome appare in un foglio di carta pecora caratterizzato da Dieco d’Avila Secretario dell’Archivio della Curia Romana”. Successivamente, il 20 dicembre 1558, sotto il pontificato di Paolo VI, per interessamento del Vescovo Monsignor Bartolomeo Sirigo junior fu aggregata all’Arciconfraternita di Roma, nella chiesa di Santa Maria sopra Minerva. Probabilmente la aggregazione spontanea dei confratelli è precedente al 1538, anno sia del riconoscimento ufficiale che della concessione, da parte del Vescovo, di una porzione del cimitero per realizzare la Cappella del SS.mo Sacramento, che prima veniva onorato sull’altare maggiore. Oggi la cappella, insieme alle altre due, aggiunte in anni successivi sul lato sinistro della navata, dove la chiesa confinava con un terreno destinato a cimitero, è protetta da un’interessante grata settecentesca, in ferro battuto, costituita da motivi vegetali e rosette. L’intero ambiente è decorato con stucchi eleganti che esaltano il ritmo spaziale dell’invaso, culminante nell’altare di marmi policromi, scolpiti e intarsiati, costruito nel 1758 ad opera della omonima confraternita spandendo la cospicua somma di 1356 ducati e consacrato da Vescovo Mons. Massenzio Filo. Si tratta di un’opera d’arte elegante a cominciare dal paliotto, fino al baldacchino delimitato da colonnine di marmo verde con capitello corinzio ad inquadrare due puttini di marmo a tutto tondo, inginocchiato su un basamento mistilineo creato per reggere l’ostensorio. Le pareti laterali della cappella accolgono quattro grandi tele mistilinee: tre di Domenico Carella, pittore martinese operante negli ultimi decenni del secolo XVIII, eseguite fra il 1796 e il 1797 (Comunione di san Pietro, Nozze di Cana a Sacrificio di Isacco). La quarta tela (Ultima Cena, 1838) è opera modesta di Fra Salvatore Galassio da Massafra.

Nelle regole confermate dal regio assenso del 25 settembre 1776 (Ferdinando IV, re di Napoli ovvero Ferdinando I di Borbone, re delle due Sicilie), su relazione del reverendo Regio Cappellano Maggiore Don Domenico Potenza, Monsignore, Arcivescovo di Cartagine, a seguito di un dispaccio reale datato 29 giugno 1776, con cui si richiedeva la regolarizzazione, “ I zelanti confratelli della congregazione del santissimo Sacramento di questa nostra città di Castellaneta, in Provincia di Terra d’Otranto, con umili suppliche riverentemente (…) domandano il permesso tanto per la fondazione quanto per la regole medesime”.

L’istanza è siglata da 30 confratelli di cui 14 firmano con segno di croce.

Seguono “Le regole da osservarsi da’ Confratelli della Congregazione del Santissimo Sacramento di questa città di Castellaneta, sì per il buon governo del Monte Funerario come per lo governo et amministrazione della Congregazione e Cappella di detto sacramento”,che con uno schema molto comune e ripetuto, stabilivano i comportamenti e le procedure. Non più di sessanta confratelli con la quota annuale di 36 grana (pari a 3 al mese), un noviziato di tre mesi per i nuovi adepti, con una quota di entrata di 20 carlini di argento, con l’esonero dalle spese per le proprie esequie e il diritto perenne di essere accompagnato, nell’ora della propria morte, dai confratelli vestiti di sacco e dalla terza parte del Reverendo capitolo.

La presenza dei confratelli era richiesta ogni domenica in oratorio, ogni terza domenica del mese era richiesta la confessione e la comunione, nonché la partecipazione obbligatoria nelle grandi festività, la notte del santo Natale, il Giovedì Santo, la Pasqua e “in tutte le festività solenni del Signore e in quelle della Beatissima Vergine, nell’esposizione del Venerabile e de’ Santi Sepolcri nella Settimana Santa”. Come al solito molte le sanzioni previste per inadempienze e tra queste il pagamento di un carlino per l’assenza immotivata da un corteo funebre, fino ad arrivare addirittura alla cancellazione con quattro assenze ingiustificate. Il monte Funerario serviva anche ad elargire sussidi ai confratelli momentaneamente in estrema necessità. Se invece si trattava di grande infermità era necessario garantire all’ammalato l’assistenza infermieristica con turni di due ore “sino all’ultimo di sua vita e visitarlo caritativamente in tutto il tempo di sua infermità”.

Il governo del sodalizio era affidato ad Ufficiali Maggiori ed Ufficiali Minori. I primi costituiti dal Priore, dal Primo e Secondo Assistente e dal Depositario; i secondi dal Segretario, dal Maestro dei Novizi, due Infermieri, due Maestri di Cerimonie, due “Chiamatari” e un esattore.

Un sacerdote secolare era il padre Spirituale nonché confessore “esemplare e prudente”. Toccava agli Ufficiali Superiori nominare, a maggioranza, i cosiddetti Ufficiali della Cappella del SS.mo Sacramento e cioè due maestri, due Depositari “galantuomini del paese de’ quali uno almeno sia Dottore per il buon regolamento degli affari politici di detta Congregazione”, e poi un Deputato (fattore di campagna) che provvederà a “consegnare al Tesoriere tutto ciò che si esige”, e infine due Razionali per la discussione dei conti annuali degli Ufficiali della Cappella “non tralasciando di osservare quanto vien disposto nel Concordato dell’anno 1741 fra la Santa Sede con la Maestà del Re (che Dio sempre feliciti)”.

È del 25 settembre 1776 il Reale Assenso, sottoscritto da Ferdinando I di Borbone, re delle due Sicilie, per l’approvazione della nostra Confraternita. “Sua maestà concede il suo Reale Assenso alla reinserita capitolazione, fatta dalli zelanti confratelli del Santissimo Sacramento della Città di Castellaneta in provincia d’Otranto circa il buon governo della medesima, il modo di eleggere gli Ufficiali, la ricezione de’ fratelli e godimento dei suffragi in tempo della di loro morte coll’ingiunta forma della relazione del Reverendo Regio Cappellano Maggiore e servata la forza di quella”.I numerosi beni posseduti alla fine del secolo XVII testimoniano il successo del sodalizio, arricchito dai numerosi lasciti dei benefattori tra i quali Leo Bianco donatore di un appartamento “di case alla contrada delle Carrare, consistenti in sette camere esclusasi la sala, con una stalla sotto e due cisterne e gaifo solita affittarsi dalli Sig.ri Governatori”, oltreché di una “osteria alla piazza pubblica con altre due camere e cisterna”, un’altra casa “con botega sotto attaccata alla med.a osteria…al dirimpetto del Menzullo” e infine una “camera contigua a detta ostaria che si paga ogn’anno l’affitto dalla Magnifica Università per servire la medesima casa per uso di carcere di donne”.Fra i benefattori importanti Catarina Di Nella, Caterina Giovinazzo, il sacerdote Carlo Santoro e Tria De Tria, donatore di sessanta rotoli di pane da distribuire ogni anno ai poveri, il Giovedì Santo. Ma il benefattore più magnanimo fu il nobile Nicolò di Ancher, autore di un lascito di mille e cinquecento ducati (19 settembre 1619) “con patto e condizione che l’Officiali facessero na cappella al Glorioso S. Nicolò, e sopravanzando denari n’avessero a far dire messe per l’anima sua e per l’anima di Catarina Rossa sua moglie”. E ancora lasciò altri trecento ducati “acciò da quelli si comprassero tre lampade d’argento e che stessero sempre appese avanti l’altare di detta cappella”. Realizzando la volontà del nobile Nicolò d’Ancher (d’Angri) la Confraternita costruì, in fondo alla navata destra della Cattedrale, la cappella di San Nicola, con quattro gradini, voltata a botte e riccamente decorata di stucchi con richiami al santo titolare, con sepolcro riservato ai vescovi. La Confraternita per propria comodità possedeva, inoltre, dentro il campanile della chiesa Cattedrale, “una camera quale serve per rimetterci mobili di detta cappella”.

Il sodalizio partecipava attivamente alle celebrazioni della chiesa Cattedrale, era titolare di alcuni privilegi ma anche di obblighi.Tutte le terze domeniche del mese e nella solennità del Corpus Domini doveva fornire all’altare maggiore cera, incenso e “polvere per li sparatorij”. Sempre nella fondamentale ricorrenza del Corpus Domini, per antica consuetudine, i padri Domenicani avevano l’obbligo di fare il panegirico senza compenso. Nella domenica infra l’ottava toccava ai Padri Riformati e nell’ottava ai Padri Cappuccini.

Obbligo di fornire cera, incenso e torce nella messa della lavanda del Giovedì Santo; poi, in serata, “li confrati co’ lumi accesi visitano li sepolcri”. E ancora nella festività di Pasqua e in quella di Natale, dove erano previsti “li sparatorij”.Molti altri oneri erano per consuetudine riservati alla confraternita: il salario al sagrestano e all’organista e l’olio per le lampade. Fra i diritti ricordiamo lo “ius sepolture” consistente in due carlini “per ciascun defunto che si vorrà sepelire dentro la cappella”, ad eccezione dei confratelli.

Particolarmente severa l’accettazione di nuovi confratelli. Per essere iscritti nel libro della fratellanza bisognava presentarsi nella terza domenica, confessati e comunicati, impegnandosi “ad accompagnare nostro signore quando esce agli infermi” e promettendo di difendere i beni del sodalizio “in qualsivoglia congiuntura”. Altri oneri erano l’impegno a curare la cappella di san Nicola (tranne il giorno della festa che era a carico del Vescovo), ad accompagnare il defunto al suo sepolcro e partecipare alle processioni dell’Evangelista Marco, dell’Ascensione e del Corpus Domini.Con il concordato del 1930 le Confraternite passarono alle dipendenze dell’Autorità Ecclesiastica e le proprietà alla Curia Vescovile.La nostra aveva 41 confratelli e, nel segno delle regole statutarie, conservava sempre gli stessi obblighi, nonostante i concordati.Nel 1934, come attesta la relativa tabella, gli oneri riguardavano le terze domeniche di ogni mese,la funzione nell’ultima notte dell’anno con processione intorno al paese, le quattro giornate di Quarantore, lunedì, martedì e mercoledì Santo con il Reverendo Capitolo, funzioni del Giovedì Santo con visita ai Sepolcri, Venerdì Santo con la processione di Gesù Morto e adorazione della Croce.

E poi ancora comunione agli ammalati nell’ottava di Pasqua, festività di San Marco, triduo precedente la festività dell’Ascensione e la stessa festività con processione. Così come (processione) a Pentecoste, al Corpus Domini e a San Pietro. E ancora triduo alla SS.ma Consolatrice, corteo funebre del 2 novembre, novena di Gesù Bambino, novena di Natale con la benedizione degli abiti dei nuovi fratelli. E infine la processione della notte di Natale, portando il Bambino nel Presepe. Dopo il radicale rinnovamento degli anni ’80 nella regolamentazione delle confraternite, con le innovazioni riguardanti gli statuti e la figura del Priore conseguenti al concordato del 1984, la Confraternita del SS.mo Sacramento ha ritrovato nuovi stimoli per la partecipazione alle opere di suffragio, ai riti processionali e liturgici. Oggi i confratelli sono sessantatrè, di cui quattordici donne. Le festività celebrate liturgicamente e con la successiva processione sono oggi: Corpus Domini (giovedì seguente la prima domenica dopo la Pentecoste) e San Nicola, Patrono della città (6 dicembre). La confraternita ha, poi, la consuetudine di partecipare ai riti delle altre associazioni confraternali della città. Tutti i confratelli sono tenuti, infine, a presenziare le celebrazioni liturgiche nella terza domenica del mese, nel giorno del Mercoledì delle ceneri, nel Giovedì Santo con successiva visita in corteo ai Sepolcri, nella terza domenica di ottobre in onore della SS.ma Consolatrice, e il giorno 2 novembre con il corteo funebre verso il cimitero, oltre che alla processione di Gesù Morto del Sabato Santo (anticamente Venerdì Santo).

L'abito confraternale

Ogni Confraternita si distingue per l’adozione, durante le cerimonie e funzioni religiose, di un abito particolare che la identifichi. I confratelli del SS.mo Sacramento indossano un camice di tela bianca, in passato chiamato sacco, coperto da una mozzetta o cappa di colore celeste, sulla quale è appuntato, a sinistra, un medaglione in argento con impressa l’immagine dell’ostensorio. Il fianco dei confratelli è cinto da un cordone, o cingolo, anch’esso di colore celeste. I novizi, in attesa della consacrazione a confratelli indossano una cappa di un celeste più intenso.

Il colore dell’abito ha una precisa simbologia religiosa e storica. Infatti, le mozzette delle Confraternite del SS.mo Sacramento possono essere di due colori: rosse, o, come nel nostro caso celesti. Il primo è ovviamente il colore simbolo del sangue e del sacrificio di Cristo nell’Eucarestia, ma indica anche che la Confraternita in questione è aggregata alla Chiesa romana di San Giovanni in Laterano.

Nel secondo caso invece, il celeste richiama sia il colore del cielo e della divinità, prefigurando la gloria eterna, sia l’aggregazione della Confraternita alla chiesa domenicana di Santa Maria sopra Minerva in Roma, affiliazione risalente per la Confraternita di Castellaneta al 1558.

Il colore celeste sottolinea quindi la particolare devozione dei padri domenicani verso la Madonna. Agli inizi degli anni ’80, l’abito tradizionale, che contraddistingueva la Confraternita almeno sin dal XVIII secolo, cadde in disuso, anche per l’affievolirsi della partecipazione dei confratelli alle cerimonie religiose.

Si preferì adottare quindi come segno distintivo un semplice abito nero, con cravatta celeste e scapolare dello stesso colore con all’estremità il medaglione recante l’effigie dell’ostensorio.Il ritorno all’uso della tradizionale “divisa” è avvenuto a partire dalla primavera del 2005, in seguito alla fervida ripresa dell’attività della Confraternita, arricchitasi anche di una nutrita presenza giovanile.

I riti della Settimana Santa

Il pio sodalizio del SS.mo Sacramento ha mostrato nel corso dei secoli un’affezione particolare verso le cerimonie religiose e i riti della Settimana Santa, in primo luogo per la devozione dei confratelli verso il Sacramento dell’Eucarestia, istituito da Cristo durante la sua Ultima Cena del Giovedì Santo. Un elenco di regole della seconda metà del XVII secolo informa dell’obbligo da parte della Confraternita di somministrare cera, incenso, torce e quant’altro necessario per la funzione liturgica del Giovedì Santo in Cattedrale, durante la quale era anche esposto un Ecce Homo in legno di proprietà della stessa Confraternita. La sera, una volta terminata la Messa, i confratelli si recavano, coi lumi, in visita ai Sepolcri della città. Con il trascorrere degli anni e dei secoli, e con l’articolarsi delle funzioni liturgiche della Settimana Santa, la Confraternita assunse altri incarichi e obblighi, oltre alla consueta partecipazione alla messa in Coena Domini del Giovedì Santo e alla visita ai Sepolcri. I confratelli infatti prendevano parte il mercoledì Santo alla processione “al Seminario” con palio, ombrelli ed altri arredi, e curavano l’organizzazione della processione di Gesù Morto del Venerdì Santo al cui termine seguiva l’adorazione della croce sull’altare maggiore della Cattedrale.

La processione di Gesù Morto, patrocinata dalla Confraternita almeno sin dal 1824, usciva dalla Chiesa Cattedrale alle ore due della mattina del Venerdì Santo, preceduta da una tradizionale consuetudine: “ù chiamatòr”, un confratello incappucciato, bussava con la tocca-tocc alle porte di chi doveva partecipare al rito dicendo: “Ialz’t, ca ‘a Madonn t’vole”. Aveva anche un percorso diverso, giungendo fino al convento di san Francesco, per quegli anni notevolmente distante dal centro abitato, ed era particolarmente suggestiva: attraversava le vie di un paese completamente buio e solo le statue del Cristo Morto e della Vergine Desolata erano illuminate da “lampieri” alimentati ad olio o a candela.

Elementi costitutivi della processione, oltre alle due statue, erano il “legno” e la “disciplina”.

Per “legno” si intende la pesante croce che un devoto penitente, scalzo e incappucciato portava sulle spalle durante tutto lo svolgimento della processione, mentre le “discipline” erano pezzi di ferro legati tra loro con catene usate dai confratelli, anch’essi scalzi e incappucciati, per flagellarsi.

Era il loro rumore ritmico e metallico a far da sfondo al passaggio della processione, rendendo l’atmosfera carica di emozione al pensiero delle uguali torture subite da Cristo prima di essere affisso in Croce.

L’organizzazione della processione subì un cambiamento in seguito alle decisioni della Conferenza Episcopale Pugliese, che, riunitasi a Molfetta nel novembre 1955, stabilì che le processioni di Cristo Morto, dell’Addolorate e dei cosiddetti Misteri non potevano aver luogo prima che il Cristo fosse morto (Bollettino della diocesi di Castellaneta, Gennaio-Febbraio 1956). Perciò, a partire dal 1956 l’uscita della processione venne spostata al Sabato Santo.

La giusta decisione, dettata da motivi di ordine pastorale, provocò il malcontento dei confratelli e dei devoti che la considerarono una ingerenza del clero nella loro organizzazione.

Il consiglio di amministrazione della Confraternita, a poche settimane dalla Pasqua, si dimise, molti confratelli ne seguirono l’esempio e la processione si svolse ma con un numero limitato di partecipanti, senza flagellanti e senza “legno”, in un paese che si sentiva spogliato delle proprie tradizioni. Poi pian piano, anno dopo anno, grazie al rinnovato impegno della Confraternita, che nel 1982 ripristinò l’uscita del “legno”, la processione è tornata ad essere una delle più devote e seguite dalla cittadinanza.

Oggi la processione inizia il suo lento e cadenzato percorso all’alba del Sabato Santo, quando alle ore sei esce dalla Chiesa Cattedrale, mentre sulla piazza antistante la attende una folla di commossi fedeli. In Cattedrale la processione farà poi ritorno alle ore dodici dopo aver percorso le principali vie cittadine.

La processione, aperta da confratelli scalzi e incappucciati, che, muniti di trozz’l (raganella) e tocca-tocc (battola), producono un fragoroso rumore, si compone di tre elementi fondamentali: il “legno”, la bara di Cristo Morto e la statua della Vergine Desolata. Il “legno” si sottopone al sacrificio di portare sulle spalle la pesante croce per adempiere ad un suo personale voto e per questo sceglie di rimanere completamente anonimo. Fino al 1955 il “legno” era seguito dagli incappucciati che si battevano le spalle con le discipline, che oggi invece cingono la vita dei lancieri, incappucciati posti ai lati del cireneo. Segue il “legno”, la bara di Cristo Morto, riccamente addobbata da fiori freschi offerti da devoti, e portata in spalla dagli uomini della “colonna”,rigorosamente in abito e guanti neri. Gli uomini della colonna e gli incappucciati recano sul capo una corona di spine, intrecciata dai confratelli durante i mesi precedenti la processione. L’ultima statua rappresenta la Vergine Desolata, che con indosso un semplice abito nero e un fazzoletto bianco nella mano sinistra, segue con il suo volto dolente il lento incedere del feretro del Figlio. Il compito di portarla in spalla è affidato alle “pie donne”, vestite di nero così come nero è il velo che copre loro la testa. Una volta rientrata in Cattedrale, la bara di Cristo viene spogliata dei fiori che la rivestono, dai confratelli, i quali provvedono a distribuirli agli uomini della “colonna” e alle “pie donne” che con fede e devozione hanno partecipato alla processione.


La processione del Corpus Domini

La solennità liturgica principale del sodalizio è il Corpus Domini (espressione che significa Corpo del Signore), e coincide con una delle principali solennità dell’anno liturgico della Chiesa Cattolica.

Si celebra il giovedì successivo alla solennità della Pentecoste. Tuttavia, poiché non è festa di precetto, è spostata alla domenica successiva, in conformità con le Norme generali per l’ordinamento dell’anno liturgico e del calendario.

Fu istituita l’8 settembre 1264 da Papa Urbano IV con la Bolla Transiturus de hoc mundo in seguito al miracolo di Bolsena.

Dopo la solenne celebrazione liturgica pomeridiana in Cattedrale si effettua, per le strade cittadine, la processione con ostensione del Santissimo Sacramento, retto dal Vescovo accompagnato da due Sacerdoti, protetti da un baldacchino mobile portato da sei confratelli. Apre la processione la Croce seguita dallo stendardo della Confraternita. Quindi il cosiddetti “popolo” (i fedeli) e i bambini della prima comunione, e a seguire le Confraternite cittadine in ordine di anzianità di fondazione. Ultima quella del SS.mo Sacramento, seguita dal clero, dal baldacchino con l’ostensorio e dalle autorità cittadine, civili e militari e il grande stuolo dei fedeli devoti. La processione parte dalla Cattedrale e si conclude, dopo un lungo percorso spesso abbellito dalle coperte più belle stese sui balconi e da un addobbo luminoso creato per l’occasione, in una delle parrocchie cittadine per la solenne benedizione ai fedeli.

La Confraternita e il Santo Natale

La Confraternita ha avuto in passato anche la cura delle cerimonie religiose che si svolgevano in occasione del Natale. Fra gli obblighi dei confratelli figurava infatti la partecipazione alla solenne novena di Natale nella Chiesa Cattedrale. Durante la funzione dell’ultimo giorno di novena si svolgeva la benedizione degli abiti dei nuovi confratelli. La Confraternita aveva poi l’obbligo, nella notte del Santo Natale “incominciando dalli primi vesperi, di dare incenzo, cera e polvere per li sparatorii, così nella notte come nella mattina”. La Confraternita curava inoltre l’allestimento del presepe nella cappella della SS.ma Consolatrice, sita nella Chiesa Madre. Con il trascorrere degli anni, venuto meno l’obbligo della solenne partecipazione alla novena, i confratelli hanno continuato a mantener viva la tradizione di preparare un proprio presepe, oggi non più predisposto nella cappella della Consolatrice, ma in locali di proprietà della Confraternita, comunque contigui alla Chiesa cattedrale.

Dal 2005, inoltre, la Confraternita, avendo come scopo il recupero della tradizione del presepe, in pieno spirito di autentica cristianità, si è fatta promotrice della mostra-concorso dei presepi. Di edizioni in edizioni (giunto alla settima), numerosi sono stati i partecipanti impegnatisi con grande cura e attenzione nei dettagli per rendere accogliente il Luogo dove deporre Gesù Bambino. La mostra è rivolta a tutti con presepi casalinghi, associazioni, parrocchie, scuole etc. Veramente arduo è quindi il compito della commissione per scegliere il presepe più bello e assegnare i primi premi, consistenti in pregevoli manufatti artistici, sul tema del presepe, della tradizione rutiglianese.

A tutti i partecipanti che si iscrivono gratuitamente, vengono donati pupi da presepe a scelta tra vari personaggi proposti,un attestato e un dvd contenente tutti i presepi che hanno partecipato alla mostra . Nel corso delle varie edizioni son o state varie le novità che di in anno in anno si sono aggiunte, come la costituzione della casa di Babbo Natale nel centro storico con Babbo Natale che accogli i bimbi dando loro doni, dolciumi e giocando con loro; la visita di babbo natale presso il reparto di pediatria dell’ospedale cittadino; i zampognari del Gargano che allieatano con le melodie natalizie, il centro storico.


Le nostre coordinate sono:

CONFRATERNITA SS. SACRAMENTO

VICO LA CHIESA, 43

CASTELLANETA

 

COMMISSARIO VESCOVILE: don Giuseppe CIAURRO

Parrocchia di appartenenza:

Parrocchia San Nicola - Cattedrale di Castellaneta

Manifestazioni organizzate:

  • PROCESSIONE DEL CORPUS DOMINI
  • PROCESSIONE DI GESU’ MORTO – SABATO SANTO
  • MOSTRA-CONCORSO DEI PRESEPI
  • ALLESTIMENTO DI MOSTRE INERENTI ALLA STORIA DELLA CONFRATERNITA
  • RECUPERO DI ALCUNE TRADIZIONI CITTADINE ANTICHE (“LE SETTE BAMBOLE DELLA QUARESIMA”)
  • 3^ DOMENICA DI OTTOBRE S. MESSA IN ONORE DI MARIA SS. CONSOLATRICE

I nostri Responsabili:

Padre Spirituale: DonMauro Ranaldi

COMMISSARIO: Don Giuseppe Ciaurro